Come affrontare il rifiuto della diagnosi di atassia
Ricevere una diagnosi di atassia è un momento difficile che può generare paura, rifiuto e senso di smarrimento. La malattia altera la coordinazione e il controllo dei movimenti, creando una distanza tra corpo e mente (vi invitiamo a visitare la pagina dedicata per saperne di più). Il rifiuto iniziale è naturale, ma accettare la malattia è essenziale per mantenere una buona qualità di vita.
Negare la malattia può essere una difesa momentanea, ma se prolungata può portare all’isolamento o a una dipendenza eccessiva dai familiari. È importante costruire una rete di supporto e sviluppare una nuova consapevolezza, comprendendo che l’atassia non significa rinunciare a vivere.
Quando il rifiuto della diagnosi di atassia persiste esprime le difficoltà nel valutare correttamente la situazione che la malattia sta delineando e può determinare sia un atteggiamento di chiusura, di distacco verso gli altri, di rifiuto del dialogo e del confronto con il rischio dell’isolamento fisico ed affettivo, sia una “regressione emotiva”.
Per questi motivi affrontare il rifiuto dell’atassia comporta:
- Il ripristino di una sana dimensione relazionale.
Il paziente deve essere aiutato, da tutti coloro che ha intorno, a recuperare le responsabilità e le attività di adulto per uscire sia dall’isolamento emotivo, sia dalla eccessiva dipendenza.
- Il recupero della “consapevolezza della malattia”.
Al rifiuto della diagnosi di atassia, deve sostituirsi la conoscenza e l’accettazione della sintomatologia con i limiti fisici reali che comporta e i disagi emotivi conseguenti la malattia.
Si può altresì contrastare il rifiuto, maturando la coscienza che essere affetti da atassia non comporta rinunciare a vivere, ma deve spingere a cercare le opportunità di vita migliori possibili.
- L’abitudine alla condivisione.
E indispensabile che il paziente e le persone a lui vicine imparino ad accettare la malattia attraverso la condivisione, nel modo più sereno possibile, sia delle preoccupazioni e delle paure suscitate dalla condizione dell’essere affetti da atassia, sia delle manifestazioni più spontanee e semplici della voglia di vivere che la persona affetta avverte in sé.
È il farsi carico, responsabilmente, della propria situazione che si mostra un valido antidoto verso l’inadeguatezza e l’impotenza che il malato spesso sperimenta.
Ciò significa intraprendere una strada che, anche se in salita, possa portare a valorizzare l’intelligenza e l’emotività, attraverso l’uso di ogni aspetto delle capacità residue a disposizione.
Fonti di tensioni prevalenti nella famiglia verso il malato

L'ansia
Al momento dell’arrivo della diagnosi di atassia l’intera famiglia può provare ansia rispetto all’incertezza sul da farsi, alle paure per il presente e per il futuro del familiare malato.
Se l’ansia persiste danneggia le possibilità di un sano rapporto all’interno del nucleo familiare. Il paziente può sentirsi invaso dal senso doloroso e diffuso di attesa, vissuto dai familiari, che preannuncia un’imminente e sconosciuta catastrofe; può fare propria questa ansia e rispecchiarla a sua volta all’interno del contesto familiare. S’instaura così, in modo circolare, un senso di apprensione che coinvolge tutti e pone il paziente e la sua famiglia in un pericoloso, quanto inutile, stato d’allarme.
L’ansia va controllata attraverso il ridimensionamento delle paure che riguardano la malattia.
L'accudimento
Il rischio da parte dei familiari è di diventare iperprotettivi e lasciare al paziente affetto da atassia, nel quotidiano, sempre meno spazi d’autonomia.
Questo è il comportamento che più di tutti genera tensioni, infatti il paziete atassico in apparenza può accogliere le cure e porsi in un rapporto di dipendenza, ma contemporaneamente può avvertire le eccessive attenzioni a lui rivolte dai familiari come la conferma della propria inadeguatezza e impotenza. A lungo andare la situazione degenera, si determina una reciproca insoddisfazione e intolleranza che arreca disagio e dolore.
Il malato di atassia ha bisogno di essere sostenuto concretamente dai familiari, ma non per qualsiasi azione egli debba o voglia compiere.
È utile abituarsi ad aspettare serenamente e a intervenire solo in presenza di richieste esplicite da parte del paziente.
Fonti di tensione prevalenti nel malato verso al famiglia
L’aggressività e il senso di colpa
Dietro al sentirsi inadeguati e impotenti, dietro la voglia di nascondersi, fuggire, divenire invisibili, c’è una grande rabbia per la diagnosi di atassia ricevuta. L’aggressività che si avverte appare inesprimibile, non si sa contro chi rivolgerla e, proprio per questo, produce disagio e angoscia.
Quando il paziente riesce a esprimerla spesso finisce per indirizzarla verso i propri familiari, che possono sentirsi colpevolizzati.
Si aggiunge al suo stato emotivo, il senso di colpa come autodisapprovazione per il fatto di aver agito in modo tale da essere giudicato cattivo, indegno.
Ad un livello emotivo profondo ed inconsapevole egli può arrivare a ritenersi meritevole della malattia, vissuta come punizione.
L’aggressività e il senso di colpa si alimentano a vicenda. Questa spirale può essere interrotta se si cerca di trasformare l’aggressività in energia positiva, in forza per diventare artefici della propria vita e se, di fronte al senso di colpa, ci si convince che non c’è “colpa reale” per la malattia sopravvenuta. Nessuno ne è responsabile, né il malato né chi gli sta intorno. Chi meglio dei pazienti atassici può dare indicazioni rispetto alla necessità di cambiare stile di vita e alle modalità per attuare questo cambiamento?
Essere protagonisti della propria vita

Perché in caso di diagnosi di Atassia è utile rivolgersi allo psicologo?
Le malattie “rare” come l’atassia si originano a livello del corpo, ma hanno inevitabilmente una ricaduta sulla psiche. Così, oltre ai sintomi fisici, appare spesso un profondo disagio emotivo derivante dalla sensazione di perdita della propria integrità fisica; dalla paura della perdita della propria autonomia e con essa della dignità personale; dalla vergogna e dal senso d’inadeguatezza che spinge a fuggire e a nascondersi.
Questi e altri sentimenti procurano molto malessere e possono esprimersi attraverso sintomi psicologici quali insoddisfazione, marcata insicurezza, ansia, depressione.
Spesso il paziente ricevuta la diagnosi di atassia non riesce o non può condividere il proprio disagio con le persone più vicine a lui ed è spinto a chiudersi, correndo il rischio di isolarsi, mentre avrebbe bisogno di parlare delle difficoltà emotive che sta vivendo, che non sono meno importanti di quelle fisiche.
L’idea di rivolgersi ad uno psicologo come persona competente in seguito alla diagnosi di atassia di solito spaventa. Il paziente deve avere la consapevolezza che appena i sintomi psicologici si manifestano hanno bisogno di essere affrontati: parlarne, riflettere sul disagio personale insieme ad una persona competente, anche se può comportare fatica e a volte sofferenza, è il modo per riconoscere, capire e possibilmente risolvere i problemi emotivi che sono il motore dei sintomi psicologici.
Cosa avviene in un consulto psicologico in caso di diagnosi di atassia?
Lo psicologo non è un amico: non dà consigli, né divieti, né incitamenti ad agire. Accoglie le persone che si rivolgono a lui ed è disposto all’ascolto e al dialogo.
In sede di incontro psicologico lascia lo spazio alla persona che lo consulta, che può parlare liberamente di sé dicendo qualsiasi cosa le venga in mente rispetto alla situazione che sta vivendo. La malattia, con tutti i risvolti che comporta a livello personale e relazionale sarà, soprattutto inizialmente, il centro nodale degli incontri.
Sarà comunque possibile indagare il proprio disagio interno, costituito dai vissuti emotivi profondi che possono derivare dalla diagnosi di atassia, ma che possono affondare le radici in problemi che hanno origine nell’infanzia.
La persona infatti, è resa più fragile, non solo fisicamente, ma anche emotivamente dall’aver ricevuto una diagnosi di atassia, che può rievocare, acuire, spesso inasprire problematiche sorte nell’infanzia. Nell’evidenziarsi dell’atassia, le difficoltà psicologiche preesistenti, non manifestatesi, possono rendersi visibili.
Lo psicologo competente ha la possibilità di operare questo ridimensionamento sia del disagio emotivo attuale, dovuto alla malattia fisica, sia di quello riferito alla storia personale.
Cosa offre un consulto psicologico individuale?
Offre innanzitutto uno spazio in cui non ci si debba mascherare o nascondere rispetto al proprio malessere che può essere espresso liberamente, anche se farlo può costare fatica.
La persona che si è rivolta allo psicologo dovrà sentirsi capita, sostenuta, accettata, non giudicata. Dovrà trovare un referente attento al suo malessere di vivere.
Dovrà sentire accolte la molteplicità di emozioni, spesso inespresse, che scaturiscono dalla condizione “dell’essere malati” e che appesantiscono emotivamente la sua vita.
In sintesi, per una persona che ha ricevuto la diagnosi di atassia, rivolgersi ad uno psicologo professionalmente competente permette di condividere il proprio disagio emotivo, di alleggerirne il peso e di riconciliarsi con la vita.
Importanza della terapia occupazionale

L’approccio terapeutico per l’atassia deve considerare sia gli aspetti fisici sia quelli emotivi e ambientali del paziente. La famiglia gioca un ruolo fondamentale nel supporto una volta ricevuta la diagnosi di atassia, garantendo stabilità emotiva e continuità nei trattamenti. Per questo è essenziale un intervento multidisciplinare che coinvolga medici, psicologi e riabilitatori.
La terapia occupazionale aiuta i pazienti a recuperare autonomia nelle attività quotidiane, contrastando passività e isolamento. Strutturata per fasce d’età, promuove abilità sociali, cognitive e motorie, favorendo un’integrazione attiva nella società.
Per terapia occupazionale intendiamo generalmente una disciplina riabilitativa che si occupa essenzialmente dell’apprendimento e del re-apprendimento nei soggetti disabili delle attività di vita quotidiana, e ha come obiettivo il massimo recupero possibile dell’autonomia e dell’indipendenza finalizzato all’integrazione sociale.
La terapia occupazionale vuole contrapporsi alla dispersione e alla vaghezza, ma soprattutto al vuoto di iniziativa e all’inerzia che caratterizza negativamente la giornata del disabile, cioè vuole proporre la tesi che solo attraverso un progetto di attività variamente finalizzato, consapevole e riferito a un’utilità soggettiva o sociale, è possibile esercitare le funzioni compromesse della vita di relazione e, in alcuni casi, quelle percettivo-motorie e comunicative per recuperare il deficit, mentre in altri si ha come obiettivo il raggiungimento del mantenimento delle funzioni: valorizzarle e autonomizzarle ai fini di un maggiore benessere soggettivo, maggiore rendimento ed integrazione sociale.
La terapia occupazionale si avvale di attività che mirano alla cura della persona, della costruzione e di ordine degli ambienti di vita, del gioco, in particolare del gioco sociale, nonché di attività utili che introducono o sostituiscono un lavoro professionale.
Queste attività permettono una doppia finalità: 1) riguardo l’utilità personale e sociale; 2) l’esercizio e il recupero o l’eventuale mantenimento della funzione compromessa.
Riferimenti bibliografici
Dr. A. Giordani e Dott.ssa Paola Vedova, Il Manuale del paziente atassico, prima edizione 2003, a cura dell’AISA sezione Lazio Onlus
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AISA nazionale ODV e il supporto ai pazienti
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A Pasqua regala la speranza
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